marian

L’Estetica visionaria di Guy Bourdin nella fotografia di moda: ispirazione artistica per fotografi di matrimonio

marian zucca

Personal
Photography
Travel
follow @marian_zucca

Let me grabe your attention, 

Marketing
Brand Styling
Writing
Personal
Business
more categories

Hi, I'm marian

Indice

Guy Bourdin nella fotografia di moda rappresenta un caso unico di rottura estetica e concettuale.

  1. Cosa può insegnare un fotografo di moda, controverso e visionario come Guy Bourdin a chi fotografa matrimoni oggi?
  2. “Enigmatico come i suoi scatti: i vuoti di una vita chiamata Guy Bourdin culminati nella rappresentazione elusiva della figura femminile.”
  3. Come Guy Bourdin nella fotografia di moda costruisce i suoi scatti, quali sono gli elementi.
  4. Biografia – L’unico crimine che commise Guy Bourdin fu la fotografia.
  5. Guy Bourdin nella fotografia di moda: l’estetica della mancanza. Il trauma come linguaggio visivo nel buio di uno studio senza finestre.
  6. La parabola esistenziale di Bourdin, iniziata nell’ombra dell’abbandono materno, si chiude con una richiesta radicale: distruggere tutte le sue opere alla sua morte.
  7.  La mostra: GUY BOURDIN NELLA FOTOGRAFIA DI MODA, STORYTELLER
  8. Fonti: Guy Bourdin nella fotografia di moda

Ripercorrere oggi la mostra Guy Bourdin Storyteller vista all’Armani Silos e accostarla al mondo della fotografia di matrimonio può sembrare, a prima vista, un azzardo. Le sue immagini spigolose, i corpi frammentati, l’erotismo inquieto e i racconti visivi enigmatici sembrano lontani anni luce dall’estetica rassicurante del wedding. Eppure, è proprio in questa distanza che si apre uno spazio fertile di riflessione visiva e concettuale.

(vedi anche punto 5. Guy Bourdin nella fotografia di moda: l’estetica della mancanza. Il trauma come linguaggio visivo nel buio di uno studio senza finestre.)

1. Cosa può insegnare un fotografo di moda, controverso e visionario come Guy Bourdin a chi fotografa matrimoni oggi?

Molto più di quanto si possa pensare.

Guy Bourdin non fotografava l’amore, ma la sua assenza. Non cercava la bellezza rassicurante, ma l’ambiguità affilata. Eppure, nel suo linguaggio esasperato e surreale, si cela una lezione preziosa anche per chi racconta storie d’amore vere, reali, eppure spesso stereotipate.

Bourdin nella fotografia di moda  ci insegna che ogni immagine può essere più di ciò che mostra, che dietro ogni posa può celarsi una narrazione visiva potente. Per chi fotografa matrimoni oggi — in un’epoca in cui le immagini rischiano di somigliarsi tutte — l’approccio bourdiniano suggerisce una rottura creativa: cercare l’insolito, osare nella composizione, andare oltre il “carino” per cogliere l’emozione dissonante, il gesto involontario, l’attimo sospeso.

Il matrimonio non è solo una favola: è anche un rito, un simbolo, un teatro di attese, paure, e trasformazioni. Ecco dove Bourdin diventa un maestro indiretto: nel mostrarci che l’immagine può essere psicologica, simbolica, disturbante o metaforica, senza perdere fascino e forza comunicativa.

Immagina un album di nozze in cui, accanto ai sorrisi canonici, trovano spazio visioni poetiche e surreali, inquadrature fuori asse, dettagli misteriosi che raccontano non solo cosa è accaduto, ma come si è sentito chi lo ha vissuto.

In fondo, Bourdin ci dice questo: l’immagine è un mondo, e tu sei il regista. Anche quando racconti una storia d’amore.

2. Guy Bourdin nella fotografia di moda, enigmatico come i suoi scatti: i vuoti di una vita chiamata Guy Bourdin culminati nella rappresentazione elusiva della figura femminile.

Bourdin nella fotografia di moda mostra donne emblematiche, teatrali, bellissime, ma spesso ridotte a dettagli, membra isolate, silhouettes bloccate in pose innatu

rali, gambe, piedi con tacchi. Più che muse, sembrano manichini animati, enigmatiche comparse di una scena senza copione, presenze che sfuggono, esattamente come il biografico  lato oscuro di Guy Bourdin, la madre lo abbandonò appena nato, un abbandono vissuto in ogni suo atto fotografico incessantemente, inconsciamente una coazione a ripetere di un vuoto silenzioso ma assordante. Donne rappresentate sempre come presenze lontane inraggiungibili, e  proprio quell’assenza diventa forma, linguaggio, estetica. Un’assenza che scolpisce il vuoto tanto quanto la luce scolpisce il colore. Bourdin fotografa la donna, ma la ritrae come un enigma non risolto: irraggiungibile, criptica, forse anche perduta.

3. Come Guy Bourdin costruisce i suoi scatti, quali sono gli elementi.

 Bourdin nella fotografia di moda costruisce un equilibrio sottile tra bellezza e inquietudine. Ogni immagine è una scena teatrale meticolosamente composta: nulla è lasciato al caso. La provocazione erotica è solo la superficie di una più profonda estetica surrealista, dove il corpo femminile è frammentato, stilizzato, spesso deumanizzato. Le sue donne non raccontano sé stesse: diventano oggetti simbolici, sagome lucide di un desiderio ambiguo, che inquieta più di quanto seduca. La costruzione scenica è totale, al punto che ogni foto somiglia a un frame di un film mai girato, immerso in una luce artificiale e chiusa. E soprattutto, Bourdin sfida apertamente il confine tra arte e pubblicità: usa il linguaggio del marketing per creare immagini che non vendono solo un prodotto, ma un mondo psicologico, ossessivo, ipnotico. È in questo cortocircuito che sta la sua potenza visiva.

4. Biografia

Guy Bourdin nella fotografia di moda. L’unico crimine che commise fu la fotografia.

Guy Bourdin nacque a Parigi nel 1928. Poco dopo, sua madre lo abbandonò. Fu cresciuto dai genitori paterni, che gestivano un ristorante in città, la Brasserie Bourdin. Quando sua madre telefonava, Guy veniva chiuso in una cabina telefonica in un angolo del locale e costretto a parlarle. La vide una sola volta: una donna dai capelli rossi, elegantemente truccata e dalla pelle chiarissima, arrivò al ristorante e gli consegnò un regalo. Il suo fratellastro Michel raccontò che Guy non perdonò mai la madre per averlo abbandonato, eppure, nelle sue fotografie di donne pallide, senza volto e dai capelli rossi, Bourdin la resuscitò all’infinito.

Durante il servizio militare, nel 1948, lavorò come fotografo aereo a Dakar. Al ritorno, vendette obiettivi fotografici in un grande magazzino per mettere da parte i soldi e poter scattare le sue foto. Lavò piatti, pulì pavimenti, e cercò con ostinazione un mentore. Fu respinto sei volte alla porta di Man Ray; la settima divennero amici, e il fotografo surrealista scrisse il testo del catalogo per una piccola mostra di Bourdin nel 1952.

Due anni dopo fu assunto da French Vogue

con cui collaborò per diversi decenni, raggiungendo l’apice negli anni Settanta, quando gli veniva concesso totale libertà creativa e spazi mensili di dieci pagine. Alcune delle sue immagini più iconiche nacquero in quel periodo, soprattutto nelle campagne pubblicitarie per le scarpe Charles Jourdan.

Era un uomo basso, tarchiato e introverso, che parlava con un sussurro acuto e lamentoso. Joan Juliet Buck, ex direttrice di Vogue Francia e collaboratrice di Bourdin, ricorda che “sembrava un contadino sullo sfondo di un dipinto di Bruegel o di Hieronymus Bosch”. Lavorava in uno studio completamente nero, oscurato, senza ufficio né telefono.

Dichiarò una volta che le sue immagini erano “solo incidenti. Non sono un regista, sono semplicemente l’agente del caso”, eppure lasciava ben poco al caso.

Ogni scatto era pianificato nei minimi dettagli, spesso a scapito delle persone ritratte. Una volta ebbe la visione di due donne con la pelle fatta di perle nere. Ricoprì le modelle di colla dalla testa ai piedi e poi le ricoprì di gioielli. La pelle non riusciva a respirare e le due donne svennero. Quando l’editor di moda gli disse che le modelle sarebbero morte in quelle condizioni, Bourdin sorrise e rispose che sarebbe stato “bellissimo”.

Appese donne al soffitto, le ammanettò, le bendò, le fece piangere, le costrinse a camminare su una tavola sospesa sopra gabbie di ratti per raggiungere il bagno.

Una volta, durante uno shooting all’aperto, insistette affinché il colore del mare venisse cambiato, perché era della tonalità sbagliata di blu. Gli assistenti versarono secchi di colorante, ma ogni onda lo portava via. Bourdin rimaneva imperioso, pretendendo che fosse la natura ad adattarsi alla sua visione.

Le storie raccontate nelle sue foto sono morbose, interrotte, piene di implicazioni inquietanti.

Una donna, truccata come una geisha, giace a faccia in giù, la bocca che riversa una scia di rossetto fuso, simile a sangue. Due donne vengono trovate morte in una piccola stanza di cemento: una impiccata, l’altra distesa su un tavolo con un coltello accanto. Una rossa cammina dietro una colonna in strada – la vediamo di sfuggita, e dove dovrebbe esserci il suo volto c’è un manifesto incollato alla colonna con la scritta “Enquête”: “indagine”, o “inchiesta criminale”. In quale mistero siamo trascinati?

La foto più celebre di Bourdin mostra un crimine già avvenuto: la donna è scomparsa, segnalata solo dal contorno del suo corpo tracciato col gesso. Un’auto è parcheggiata – o forse schiantata – poco dietro, pozze di liquido scuro si allargano sull’asfalto, e a terra restano i resti glamour della protagonista: un paio di occhiali da sole fucsia, delle scarpe col tacco rosa acceso.

Charlotte Cotton sostiene che l’estrema finzione delle immagini di Bourdin sia proprio ciò che le rende sovversive: mostrano la moda per ciò che è, una messinscena, e accentuano l’atto del guardare

Diventiamo vittime del nostro stesso sguardo voyeuristico.

È ciò che Glen Luchford ama del suo lavoro: “C’è sempre qualcuno che spia nelle sue foto. Bourdin guardava dietro gli angoli, sbirciava nei bagni.” Riferendosi alla foto del contorno in gesso, Luchford dice: “Se qualcuno riuscirà mai a superarla, sarò davvero sorpreso.”

Il fotografo Juergen Teller, che lavora in uno stile molto più realistico, trova le fotografie di Bourdin prive di senso proprio per queste ragioni: “Mi sembravano semplicemente troppo stupide”, dice. “All’epoca ero molto più attratto da Helmut Newton – lì percepivo un vero pericolo, non un pericolo da fumetto.”

Guy Bourdin nella fotografia di moda – Ma quanto erano finte davvero le narrazioni pericolose e interrotte di Bourdin? Era satira o sadismo?

Denunciava l’oggettivazione delle donne o le trasformava consapevolmente in oggetti? Per chi ha visto cosa accadeva dietro le quinte, la sovrapposizione tra vita e arte era inquietantemente reale. Joan Juliet Buck, che si occupava del trucco delle modelle con fondotinta teatrale Leichner, racconta di essersi sentita a disagio dopo un po’, quando le donne non sembravano altro che bambole. “Avevano l’aspetto di cadaveri”, diceva.

Nel 1961, Bourdin sposò una segretaria di nome Solange Gèze.

Ebbero un figlio, Samuel, e successivamente si separarono. A New York conobbe una donna di nome Holly Warner, e una modella dai capelli rossi, Eva Gschopf. Secondo gli amici, le donne che vivevano con lui finivano per essere isolate: non potevano vedere nessuno né usare il telefono.

Warner tentò il suicidio tagliandosi i polsi, ma sopravvisse e si liberò di lui. Eva morì cadendo da un albero. Dopo la sua morte, la sua migliore amica, Sybille Dallmer (anch’ella rossa), chiese di incontrare Bourdin, e ne divenne l’amante. Poco dopo, Solange morì – alcuni parlarono di overdose, altri di infarto. Nel 1981, il figlio tredicenne di Bourdin tornò a casa e trovò Sybille impiccata nella tromba delle scale del loro appartamento.

Nel 1978, quando Bourdin era ormai un’istituzione della moda,

Faye Dunaway recitò in un film intitolato “The Eyes of Laura Mars. Interpretava una fotografa di moda che aveva visioni di omicidi prima che accadessero e, credendole fantasie, le metteva in scena come servizi fotografici. Le sue immagini somigliavano così tanto a foto reali di scene del crimine che la protagonista diventava la principale sospettata. Le foto sul set furono ideate con Helmut Newton, ma l’estetica era molto più vicina a quella di Bourdin – così come forse anche la trama.

Bourdin raccontò ad amici che voleva iniziare un progetto a lungo termine fotografando i cadaveri in un obitorio, ogni settimana perun anno, per documentarne il decadimento. Una delle sue immagini più inquietanti per Charles Jourdan – una donna senza testa distesa su un letto, accanto a un televisore acceso, con un bambino in silhouette sulla soglia – si rivelò in seguito una ricostruzione della morte di sua moglie Solange.

Quale fu il ruolo di Bourdin in queste tragedie della vita reale? E l’eredità di Guy Bourdin nella fotografia di moda

Non fu responsabile della morte delle sue donne, certo. Eppure le atmosfere da thriller psicologico che le sue foto suggerivano erano presenti anche nella sua vita: il bambino abbandonato, rinchiuso in una cabina telefonica per parlare con la madre, diventato l’uomo che rinchiudeva le sue compagne in appartamenti senza telefono; colui che, nelle fotografie, privava le donne della vita – inscenandone la fine o trasformandole in manichini inanimati – e che poi le vedeva davvero morire. Disse una volta che le immagini più pure erano quelle di qualcuno che moriva o era privo di sensi. “Si potrebbe,” dice Glen Luchford, “analizzare Bourdin in chiave freudiana. Ma non serve: è tutto lì, nelle sue immagini.”

L’anno dopo la morte di Sybille, Bourdin, ormai fuori moda e sommerso dai debiti, entrò nudo nell’ufficio delle tasse a Parigi, insultò i funzionari chiamandoli nazisti e venne arrestato. Vogue pagò per farlo uscire, ma lui dichiarò che avrebbe preferito restare in carcere. “Sarebbe stato meraviglioso passare un anno intero in prigione,” disse.

Ma di cosa era colpevole Bourdin? Non c’era stato alcun omicidio, solo scene di omicidio. L’unico crimine che aveva commesso era la fotografia.

5.Guy Bourdin nella fotografia di moda : l’estetica della mancanza. Il trauma come linguaggio visivo nel buio di uno studio senza finestre.

La fotografia di Bourdin è, in fondo, un lungo excursus sul vuoto, una tragedia silenziosa costruita attorno all’assenza. Non è solo stile: è una ferita rievocata e ricomposta in ogni scatto. La sua opera nasce da una mancanza originaria — quella materna — che l’inconscio non ha mai smesso di rivivere e che lo sguardo ha trasformato in immagine. In quel buio controllato del suo studio senza finestre, Bourdin mette in scena l’assenza come unica presenza possibile. Le donne diventano simboli stilizzati di un amore mancato, forme frammentate che abitano mondi artificiali, silenziosi, sospesi. Ogni fotografia è una ricerca lucida e voluta di ciò che non c’è più, o forse non c’è mai stato.

6. La parabola esistenziale di Bourdin, iniziata nell’ombra dell’abbandono materno, si chiude con una richiesta radicale: distruggere tutte le sue opere alla sua morte.

Come se quell’assenza originaria — mai colmata — reclamasse coerenza assoluta fino all’ultimo atto. Il buio del suo studio, popolato da manichini, corpi e simulacri, non era solo un luogo fisico, ma uno spazio mentale, un vuoto messo in scena con cura ossessiva.
Eppure, quella distruzione non fu possibile. Le immagini erano ormai sparse, affidate ai committenti, custodite da archivi editoriali, stampate sulle riviste, sopravvissute all’autore stesso. Inconsapevolmente, Bourdin aveva creato un’eredità più forte della sua volontà.
Così, nel contrasto tra l’inizio e la fine — dalla mancanza alla memoria — si consuma il destino delle sue fotografie: nate dal buio, ma sopravvissute ad esso. Testimonianze visive di una tragedia privata trasformata in arte assoluta.

7. LA MOSTRA: Guy Bourdin nella fotografia di moda… STORYTELLER

Una mostra dedicata a Guy Bourdin che approfondisce, attraverso la lente del fotografo, il sorprendente impatto della sua visione come storyteller. Il suo obiettivo non era quello di scioccare, ma piuttosto di incoraggiare gli spettatori a interagire con le immagini, a porsi domande, a giocare.

LA MOSTRA

Nata dall’idea di raccontarne l’intento compositivo e narrativo, la mostra é un omaggio all’opera del fotografo francese, al di là della provocazione da sempre associata al suo lavoro.

Sulla scia di Alfred Hitchcock ed Edward Hopper, un regista e un artista che ammirava molto, Guy Bourdin è stato essenzialmente uno storyteller, capace di racchiudere interi romanzi, di preferenza gialli o noir, in un singolo scatto.

8. Fonti da cui ho ricavato il materiale per Guy Bourdin

Comments +

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

WEDDING

ONE DAY A
THOUSAND DETAILS:
THE WEDDING TAKES
CENTER STAGE

wEDDING DIARY, BRIDE AND GROOM, 
DREAMS AND PHOTOGRAPHS,
WEDDING ALBUM, WEDDING VIDEO
category here

my nightly
skincare regime

You can either type this featured post content manually or use a post look-up function in SHOWIT directly. It can also rotate between several posts.

CONNECT

elsewhere:

stay a awhile + read

BLOG

Check out my 

INSTA